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Area Sismica - Forlì - 20.12.2008
Quello
di Andrea Rossi Andrea è decisamente un nome singolare ed
eccentrico nel panorama artistico italiano: una doppia
identità di artista visivo e di musicista, che nonostante
la propensione alla sinestesia e all'ibridazione dei
linguaggi in entrambi i mondi, il suo portatore fa comunque
coesistere parallelamente e autonomamente l'una dall'altra;
una solida formazione e un curriculum impeccabile in
entrambi i campi (DAMS e accademie di belle arti da un lato,
conservatori italiani e scuole di musica americane - Berklee
College, Manhattan School of Music - dall'altro); un lavoro
di un paio di decenni svolto ai margini del mondo musicale e
della considerazione della critica, che invece negli ultimi
anni lo sta unanimemente scoprendo e celebrando.
Nonostante la distinzione della sua attività figurativa da quella musicale, Andrea Rossi Andrea ha però concepito un'idea/simbolo che rappresenta nelle sue intenzioni l'intera sua opera, quello della “Ground Plane Antenna”, un oggetto sempre presente materialmente o come rimando sia nelle sue installazioni visive che nei suoi concerti. Forse per le caratteristiche e proprietà di questo tipo di antenna radio, i cui bracci si estendono sul terreno quasi a volerlo coprire come un ombrello, e paradossalmente rétro, quando l'opera musicale dell'artista è incentrata invece sui corti circuiti culturali della postmodernità, Rossi Andrea la sente come una calzante rappresentazione della sua propensione espansiva verso l'inglobamento di linguaggi ed ambiti diversi, della sua dedizione alla loro sovrapposizione e intreccio, della sua presa d'atto e rappresentazione della loro attuale confusione e del loro intrico sempre più indecifrabile.
In
questa occasione, il progetto “Ground Plane Antenna” ha
assunto la forma del duo, con Rossi Andrea affiancato
dall'ottimo Stefano Pastor al violino.
Andrea Rossi Andrea ama sollecitare e anche confondere il pubblico, disorientarne le aspettative, scuoterne le sicurezze, per cercare di stimolare un ascolto critico e consapevole.
E disorientante in effetti il concerto lo è stato: Andrea Rossi Andrea inizia la performance con una carrellata sulle suonerie del suo cellulare (carrellata che riproporrà nuovamente nel corso del concerto); poi appronta una sorta di monologo surreale e un tantino ossessivo, persino vagamente inquietante per il tono di voce minacciosamente suadente: “Qual è il tuo numero di cellulare? Mi passi la tua mail? Hai molte spam? Hai molte spam?...” Monologo che ripeterà alla fine del concerto, quasi a voler creare un loop della materia musicale e di pensiero esplorata ed espressa dalla performance che si ripiega su se stessa, riprendendo anche il tema musicale con cui l'aveva aperta.
Di fronte a tutto ciò, l'ascoltatore ignaro del contesto in cui questo si colloca, dell'opera di Rossi Andrea, dei suoi riferimenti insistiti (ad esempio nei titoli dei suoi brani) all'universo postmoderno della comunicazione via internet, e delle intenzioni corrosive nei confronti degli scenari e delle prassi socio-culturali che questo universo dischiude, si chiede inevitabilmente: “perché?”. Più chiaramente programmatico è invece un altro monologo che Rossi Andrea improvvisa interrompendo inaspettatamente un'escursione musicale (all'incirca: “Dobbiamo essere contemporanei, dobbiamo essere molto precisi e rigorosi; poi fuori magari c'è il casino, ma noi dobbiamo essere contemporanei...”). In ciò è evidente l'intenzione ironica di prendere le distanze e di ridimensionare certe pretese artistiche di perfezione e di rigore che, oltre a trovarsi a volte scollegate dalla realtà, hanno anche la propensione a sfociare in egocentriche manie di onnipotenza.
E
sconcertante per l'ascoltatore è anche l'uso che viene
fatto deicliché; è come se ogni tanto,
inaspettatamente, irrompessero nella trama sonora dei
blocchi preconfezionati, presi di peso da qualche altra
parte e scaricati brutalmente lì nel mezzo: il walking
bass della
linea armonica di “Autumn Leaves”, il tema di “In a
Sentimental Mood” del violino dopo una scorribanda fra le
suonerie del cellulare, un repentino giro di basso del boogie-woogie (quello
che fa parte dell'immancabile arsenale a disposizione di chi
prova a mettere le mani su un pianoforte, insieme alle note
iniziali di “Per Elisa” e a “Fra Martino
campanaro”), un riff di un qualche celebre brano hard-rock
commerciale che ha lasciato solo una traccia sfumata nella
nostra memoria, una canzone improvvisata in sdilinquito
stile sanremese, con tanto di testo trash/romantico... E'
evidente l'intenzione dissacrante e decontestualizzante di
tutto ciò, ma quello che sconcerta di più l'ascoltatore è
che questi cliché non
sono solo accennati o allusi obliquamente, sono anzi
smaccatamente scoperti e insistiti in modo nient'affatto
fugace, fino a quando ce ne si sta facendo una ragione; solo
allora, Rossi Andrea e Pastor ce li strappano da sotto al
naso (o alle orecchie...) per tornare a qualcosa di più
“libero” e “personale”.
Lo stile di Andrea Rossi Andrea al basso è dinamico, il suo suono è pieno e rotondo. La sua tavolozza espressiva è ampia, passando da situazioni ipercinetiche, con un uso assai avanzato e virtuosistico dello slap, ad altre molto più eteree e melodiche. Belli soprattutto certi momenti molto ritmici in stile quasi drum'n'bass, ed altri invece dilatati e morbidi, con melodie iterate in chiave vagamente minimalista.
Rossi Andrea fa uso anche del midi, con cui controlla attraverso il basso dei moduli sonori elettronici. L'effetto è un po' interlocutorio: i suoni hanno un retrogusto di plastica che evoca inevitabilmente l'idea e l'impressione del surrogato; le atmosfere prodotte, ad esempio con l'uso di tappeti di accordi, a volte sono un po' stucchevoli e questo, unito al suddetto carattere “plasticoso” del suono, non sempre convince. Altre volte invece è risultato molto azzeccato, soprattutto quando Rossi Andrea ha simulato dei sax solisti o in sezione, il cui fraseggio ha saputo imitare in modo del tutto riuscito e convincente.
Stefano
Pastor è violinista dallo stile e dal linguaggio assai
maturo, con una personalità musicale pienamente formata e
un'identità ben sviluppata. Il suo fraseggio è fluente e
flessibile, ed incorpora pienamente la tradizione del
violino jazz, richiamando a volte gli echi storici di un
Grappelli.
Il timbro è molto caldo, contrariamente a quanto di solito accade col violino elettrico; il suono è come felpato e leggermente ovattato, l'attacco delle note e la consistenza timbrica ricordano quelle di uno strumento a fiato: a volte un sax o un clarino, a volte un qualche flauto andino. Questo effetto è volutamente perseguito da Pastor, che allo scopo ha sostituito tre corde del suo violino con corde da chitarra elettrica.
Non gli sono mancate neanche l'agilità mentale e l'ironia per assecondare le escursioni e gli umori di Rossi Andrea, come quando ha cercato di accordare la sua improvvisazione alle suonerie del cellulare che il bassista passava in rassegna.
Entrambi i musicisti sono indubitabilmente dei virtuosi del loro strumento, anche se il virtuosismo non è assolutamente l'effetto che si prefiggono. E' chiaro che per Rossi Andrea questo è un semplice mezzo a disposizione per perseguire ciò che gli sta a cuore, cioè il suo discorso e la sua riflessione meta-musicale e culturale.
Un'impressione
assolutamente personale di chi scrive è che forse Rossi
Andrea potrebbe mettere un po' più d'inventiva anche nel
proprio fraseggio, oltre che nel modo di porlo e di
costruire la propriaperformance. E' vero che gioca
sui cliché,
ci ironizza per ottenere un effetto straniante, ma la sua
impostazione strumentale a volte suona un po' scolastica se
paragonata a questo intento programmatico di sovvertire le
attese e le convenzioni consolidate.
Forse non sarebbe male prendere un po' le distanze anche da
questo...
Visita i siti di Andrea Rossi Andrea e Stefano Pastor
Foto di Claudio Casanova.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria
immagini.
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di concerto/festival/evento
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